“Ben oltre le idee di giusto e sbagliato c’è un campo. Ti aspetterò laggiù.” Jalal Al Din Rumi
Ci pensavo ieri di ritorno dal corso sulle “emozioni”, ero in auto e mi è venuta in mente questa frase.
"Come lo chiameresti tu il campo che c’è oltre i confini di giusto e sbagliato?” mi sono chiesta tra me e me.
Silenzio, nessuna risposta, respiro, ascolto la musica e poi arriva: “forse lo chiamerei empatia”.
Empatia, la capacità di identificare, risuonare, connetterci con lo stato emotivo nostro ed altrui in assenza di giudizio, usando la nostra comprensione per agire.
Quando nasciamo non abbiamo la più pallida idea di cosa sia giusto o sbagliato, ma Daniel Goleman , nel famoso libro Intelligenza Emotiva, ci dice che, come esseri umani, abbiamo doti empatiche fin da piccolissimi. Doti che ci fanno, già a tre anni, consolare un altro bimbo quando piange o percepire lo stato emotivo dei nostri genitori. Del resto per l'essere umano la capacità di interpretare correttamente i segnali emotivi di un altro essere è stata fondamentale in termini evoluzione e sopravvivenza. Cosa sarebbe potuto accadere se non avessimo saputo ascoltare i segnali di paura in noi e negli altri, o se non avessimo imparato a chiedere aiuto?
Perciò ecco che nasciamo con questa dote naturale di “connessione”, non sappiamo cosa sia giusto o sbagliato ma sappiamo sentire e dovremmo solo imparare ad accogliere le emozioni come forme comunicative. Tuttavia poi succede qualcosa, chiamiamolo “processo di civilizzazione” per cui impariamo ciò che è giusto o sbagliato e contemporaneamente iniziamo a dimenticare o a temere il sentire.
Sappiamo esattamente cosa dovremmo fare, cosa ci si aspetta da noi, cosa noi stessi ci aspettiamo da noi, cos’è “giusto”, ma non riusciamo a sentire le nostre molteplici volontà che “parlano”. Ci dimentichiamo di guardare negli occhi un altro essere umano quando parliamo e pensiamo di poter gestire i rapporti attraverso i post nei social, i messaggi sul cellulare o le telefonate, perdiamo la connessione umana in favore di una connessione ultraveloce ma arida.
Ai bambini insegniamo che un compagno non si picchia perché è “sbagliato”, ma se usassimo l’empatia? Se gli insegnassimo a guardarsi negli occhi, ad ascoltare e ascoltarsi?
Viviamo in un’epoca in cui ci hanno insegnato l’amore e le relazioni usando un linguaggio normativo e, a volte, punitivo dimenticandosi che dall’amore nasciamo, che l’armonia è nella natura delle cose, se solo fossimo capaci di riconnetterci.
In quel campo oltre i confini di giusto e sbagliato, possiamo imparare a sospendere il giudizio, lasciare parlare le molteplici volontà che ci abitano, sentire, rispettare e rispettarci. In quel luogo così naturale e incredibilmente spazioso possiamo coltivare un nuovo modo di essere umani.
Vieni con me?