25 Novembre per tutti noi è una data da segnare in rosso sul calendario. Rosso come il vestito per una grande festa, rosso come il sangue, che è dolore ma è anche vita, rosso come il colore delle scarpe di quella famosa fiaba, “scarpette rosse” appunto, che racconta di una donna che le sue scarpe per ballare deve imparare a cucirsele da sé. Ma questa è un’altra storia e ve la racconto un altro giorno. Dovete sapere che però io il 25 Novembre l’ho sempre cerchiato di rosso sul calendario, fin da quando ero piccina, perché si dà il “caso” che sia anche il giorno del mio compleanno.
E così ogni 25 Novembre mi trovo in questo intreccio di nascita, rinascita e di memoria di violenze consumate. Ringrazio per un nuovo giro intorno al sole e rammento che viviamo in un mondo in cui è necessario istituire una giornata “contro la violenza”. La mia storia e la storia di altre donne si intrecciano, in un atto così violento com’è quello di dedicare un giorno alla “non-violenza”, un paradosso, gioia e dolore, festa e memoria.
La prendo come un’occasione per parlare di nuovi inizi, com’è per me quest’anno che inizia oggi.
Vogliamo che la violenza finisca, ma la fine è l’inizio e allora cominciamo da lì.
Come inizia una storia di violenza?
Le storie di violenza sono tutte diverse, a volte è uno schiaffone, a volte il controllo economico, a volte la gelosia oppure gli insulti feroci e la perdita di controllo.
Tutte diverse ma con una cosa in comune: la storia non è iniziata lì.
E’ iniziata molto prima, quando piccoli/grandi segnali, vengono persi di vista, quando momenti personali di sofferenza o insofferenza vengono messi in secondo piano. Quando si diventa incapaci di riconoscere ciò che è inaccettabile o pericoloso e si giustificano comportamenti che feriscono o che limitano la propria vita, in nome di un amore che ha il sapore di una missione impossibile: cambiare l’altro.
E così accade che la “vittima” di violenza diventa cieca a ciò che le fa male perché totalmente impegnata a monitorare i comportamenti dell’altro, per capire come evitare l’inevitabile: un altro sbotto, una nuova litigata, un altro schiaffone, un'altra delusione. Così impegnata a voler levigare il legno che non si accorge che sta tenendo il coltello dalla parte della lama e proprio quella lama le sta facendo sanguinare il cuore. Non è una colpa, è solo uno dei tanti modi in cui impariamo a prenderci cura dell’altro senza aver prima imparato a sentire noi stessi, a proteggerci e darci ciò di cui abbiamo bisogno. C’è un abisso tra la colpa e la responsabilità, la colpa ci rende vittime, la responsabilità ci rende potenti. Essere responsabili significa poter rispondere alla vita. A volte rispondiamo alla vita in modo automatico, cercando di preservare i nostri equilibri anche quando fanno male, cercando di salvare relazioni che sono solo relazioni “in potenza” potrebbero essere tutto, lo sappiamo che “potrebbero”, lo immaginiamo che potrebbero, lo sogniamo, ma la verità nuda e cruda è che non sono niente. E’ difficile seppellire un sogno, è forse la cosa più dolorosa che può capitarci di fare nella vita, la paura, il terrore di perdere noi stessi perdendo quel sogno. Ma quando riusciamo a farlo, scopriamo che ogni sforzo che stavamo compiendo per tenere in piedi quel sogno era un passo inesorabile verso il seppellire noi stessi. Possiamo rispondere alla vita in modo nuovo?
Si, perché abbiamo la responsabilità, la responsabilità di noi stessi, di questa vita così preziosa che ci è stata affidata il giorno in cui siamo giunti qui, abbiamo la responsabilità di insegnare a noi e a chi ci sta accanto l’amore . L’Amore che inizia con la verità , la verità di come stiamo, la verità di ciò di cui abbiamo bisogno, quella che ci libererà.
Così finisce la violenza: quando ci si vede finalmente, quando si muovono gli occhi intorno e si scopre che ci sono delle possibilità diverse, si impara a chiedere aiuto e si scopre che ci sono risorse inimmaginabili in noi e al di fuori di noi. Che è possibile agire diversamente, imparare a proteggersi e che l’unico amore che ha il potere di trasformare è quello che rivolgiamo a noi stessi.
Tutto questo richiede tempo e,spesso ,l’attivazione di una rete.
Ma l’inizio della fine è solo uno: accorgersi di sé.
" Un giorno mi perdonerò.
Del male che mi sono fatta,
del male che mi sono fatta fare
e mi stringerò così forte,
da non lasciarmi mai più"
EMILY DICKINSON